Ludovico Palma, Author at Ludovico Palma Nutrizionista - Pagina 2 di 6

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25 Febbraio 2025

Nelle diete a basso contenuto di carboidrati , anche dette low carb, si riduce molto l’assunzione di carboidrati  in favore di grassi e proteine. Va specificato che le diete low carb e chetogeniche non sono esattamente la stessa cosa, di solito la seconda prevede una riduzione maggiore ed accurata di carboidrati. 

Nelle diete chetogeniche le quantità di carboidrati sono spesso inferiori ai 100 o 50 gr al giorno, in base al soggetto, e ciò innesca il meccanismo della chetosi. Questo accade perché il sistema nervoso centrale richiede un fabbisogno glucidico di circa 100 gr al giorno. Se questo quantitativo non è soddisfatto, si può indurre la chetosi come strategia di emergenza ma il limite è soggettivo, cambia in base alla persona ed ai suoi fabbisogni. 

Cosa sono le diete Low Carb?

Così per dieta a basso contenuto di carboidrati non esiste una definizione univoca, anche perché molto dipende dai fabbisogni energetici che variano soggettivamente. Andrebbero quindi considerate più le quantità di carboidrati in relazione al totale apporto calorico necessario dell’individuo. Non esiste un valore preciso di grammi di carboidrati da assumere giornalmente così da distinguere precisamente le diete low carb dalle altre. 

Spesso si intende per dieta a basso contenuto di carboidrati quando l’introito di questi scende sotto il 50-55% delle calorie totali. Questo perché le linee guida raccomandano, per un soggetto sano, un apporto energetico che sia derivante per almeno il 50-55 % dai carboidrati. 

Altri autori prendono come riferimento il fabbisogno teorico medio di glucosio per un individuo sedentario che si aggira dai 100 ai 180 gr. Quindi definiscono una dieta low carb quando l’assunzione giornaliera di carboidrati è al di sotto dei 100 gr. 

In sintesi, si potrebbe definire una dieta a basso contenuto di carboidrati una condizione in cui si assumono:

  • Circa Meno del 50% delle calorie totali;
  • Meno di 100 gr di carboidrati al giorno;
  • Meno di 2,5 gr per kg di peso corporeo al giorno.

Quali sono i benefici di una dieta a basso contenuto di carboidrati ?

Uno dei principali vantaggi di una dieta low carb è che si potrà seguire una dieta ipocalorica senza prestarci troppa attenzione. Infatti, la riduzione dei carboidrati potrebbe portare ad un abbassamento considerevole sull’introito calorico quotidiano. Questo può avvenire soltanto se raggiunge una buona sazietà con i pasti principali e le merende, sfruttando la capacità saziante di alimenti con un buon contenuto proteico, fibre  e grassi. Per avere un piano alimentare bilanciato ed adeguato ai propri fabbisogni è sempre importante rivolgersi ad un professionista come un nutrizionista o medico. 

Quindi, uno dei principali benefici è la perdita di peso , abbastanza celere, dovuta alla perdita di acqua per l’esaurimento delle riserve di glicogeno. Oltre a ciò però vi è un aumento della lipolisi e dell’ossidazione dei grassi. 

Con una dieta del genere vi può essere una buona sazietà dovuta ad un maggior contenuto di proteine oltre che un miglior controllo glicemico. In seguito alla perdita di peso migliorano anche valori plasmatici di trigliceridi, colesterolo e fattori di rischio per malattie-cardiovascolari e diabete di tipo 2. La perdita di peso comporta anche la riduzione di molecole pro infiammatorie come le citochine.

In conclusione, la dieta low carb può essere una strategia per la perdita di peso ma gran parte dei vantaggi in termini salutistici derivano proprio dal dimagrimento e non dalla dieta in sé. 

Quali sono gli svantaggi di una dieta a basso contenuto di Carboidrati?

Protrarre una dieta low carb per molto tempo, ad esempio oltre i 6 mesi potrebbe comportare alcuni svantaggi, vediamone alcuni insieme. 

  • Riduzione della performance sportiva: ammesso che questa sia la strategia migliore per una persone sportiva, la riduzione di carboidrati potrebbe portare ad un calo della prestazione, soprattutto per gli atleti di endurance.
  • Aumento dei livelli di stress: la diminuzione dei carboidrati può portare ad un’alterazione dei livelli di serotonina aumentando livelli di affaticamento e stress. 
  • Possibile eccesso di grassi saturi: riducendo la quota di carboidrati è possibile aumentare inconsapevolmente alimenti come carne e formaggi ricchi di grassi saturi. 
  • Aumento del catabolismo muscolare: se protratte a lungo queste diete non forniscono i corretti nutrienti per lo sviluppo e sostegno della massa muscolare.

E’ bene che una dieta povera di carboidrati non venga seguita per molto tempo, adattandola solo se necessaria e sotto supervisione di un professionista della nutrizione. 

Cosa Mangiare in una dieta low carb

Una dieta low carb prevede di diminuire molto l’utilizzo di pasta, pane, prodotti da forno ed aumentare quelli ricchi di proteine e grassi

Va trovato però il giusto equilibrio; ad esempio frutta fresca e verdure non dovrebbero mai mancare per il corretto apporto di fibre e funzionalità intestinale. La fibra ha un ruolo anche nel senso di sazietà. Frutta e verdura sono inoltre fondamentali per il corretto apporto di vitamine e sali minerali. La frutta secca ricca di grassi si può utilizzare nelle corrette porzioni e bilanciando gli altri grassi nella giornata e settimana. 

Anche i legumi ricchi di fibra e con il giusto mix  tra carboidrati e proteine potrebbero far parte di questo tipo di alimentazione.

Tra le principali fonti proteiche da utilizzare invece si possono utilizzare soprattutto pesce, uova e carni bianche oltre che yogurt, latte e formaggi. I formaggi sono anche molto ricchi di grassi, quindi andrebbero preferiti quelli più magri, oltre che gestita la loro quantità e frequenza settimanale. 

Attenzione infine a carne rossa e conservata (affettati) che possono essere consumati ma con una frequenza settimanale ridotta. 


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7 Febbraio 2025

L’acqua è il componente principale del corpo umano e rappresenta un nutriente essenziale per tutti gli esseri viventi. L’acqua è alla base di tutte le  forme di vita, senza questa preziosa risorsa non avrebbe avuto origine nemmeno la terra. La formula chimica dell’acqua è H2O, indicando che la sua composizione chimica è costituita da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. 

La quantità di acqua nel nostro corpo può variare dal 50 al 70 %. Ad esempio, nel bambino la quantità di acqua di solito si aggira intorno all’80 %, circa il 65-70% mentre scende al 60 % nell’anziano.

Nel corpo umano l’acqua ha una distribuzione ubiquitaria ma la percentuale maggiore dovrebbe trovarsi all’interno delle cellule, circa il 65-70% dell’acqua corporea. La restante percentuale dovrebbe si trova all’esterno delle cellule ossia nel liquidi interstiziale, nel plasma , nella linfa e nel liquido intracellulare. 

Nel tessuto adiposo e nelle sue cellule la quantità di acqua è inferiore, così i soggetti obesi hanno un contenuto idrico minore.

Quanta acqua bere per una corretta idratazione

La quantità di acqua da bere nell’arco della giornata può variare da persona  a persona in base a diverse condizioni, come ad esempio:

  • Stato di salute del soggetto
  • Composizione della dieta
  • Clima ed ambiente 
  • Età
  • Attività sportiva 

Il ricambio di acqua è continuo, durante la giornata il suo turnover corrisponde a circa il 6-10% del peso corporeo complessivo nell’adulto. 

I LARN (Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana) consigliano un’assunzione di circa 2,5 L/die per gli uomini e 2 L/die per le donne.

Tuttavia, le diverse condizioni citate sopra possono cambiare sensibilmente il fabbisogno di acqua arrivando in casi estremi anche al doppio rispetto a queste quantità. 

Un altro metodo usato per avere una buona idratazione è quello di consumare almeno 1-1.5 L di acqua ogni 1000 kcal.

L’acqua ingerita attraversa tutto il canale digerente fino all’ultimo tratto dell’intestino dove viene assorbita, passa in circolo e si distribuisce ai vari distretti corporei tramite sangue e linfa.

Nei reni poi l’acqua viene filtrata e in gran parte riassorbita grazie all’azione dell’ormone antidiuretico che agisce stimolando il recupero di del liquido filtrato. Se non riassorbita dai reni l’acqua viene eliminata con le urine insieme ai cataboliti solubili. 

Perché è importante bere acqua ? Quali sono le sue funzioni nel nostro corpo?

L’acqua svolge diverse funzioni metaboliche fondamentali per l’organismo e la sua salute, tra cui: 

  • essere l’ambiente in cui avvengono la maggior parte delle reazioni chimiche agendo da solvente;
  • partecipare a scambi di ioni e sostanze nutritizie attraverso membrane cellulari e compartimenti vascolari regolando anche la pressione sanguigna;
  • regolare il volume corporeo, la temperatura ed il flusso delle scorie metaboliche favorendo così i processi di disintossicazione dell’organismo;
  • lubrificare le articolazioni, agendo come ammortizzatore di articolazioni e tessuti;
  • aiutare l’assorbimento dei nutrienti contenuti negli alimenti;
  • contribuire ad eliminare le scorie delle tossine, anche provenienti da terapie farmacologiche,
  • favorisce un buon funzionamento del fegato e dell’apparato digerente, anche in fase di digestione.

L’assunzione di acqua è importante per bilanciare la sua escrezione che avviene principalmente tramite la pelle e le mucose delle vie aeree (circa 1250 ml al giorno). Ovviamente l’escrezione avviene anche tramite le urine (800-1500 ml al giorno) e le feci (100-150 ml al giorno). 

Per valutare una corretta idratazione e distribuzione di liquidi si può fare un test del colore delle urine oltre che l’esame impedenziometrico. Attraverso questo esame un medico o un nutrizionista possono valutare la quantità di acqua nel corpo e la sua distribuzione dentro o fuori le cellule.

Inoltre attraverso parametri ematici si possono avere riscontri su: osmolarità plasmatica, concentrazione di sodio, azoto ematico e urinario, volume colore e peso specifico delle urine.

Acqua, corretta idratazione, dieta e dimagrimento:

L’acqua è un nutriente non energetico, pertanto non fa ingrassare, e può essere assunto un qualsiasi momento della giornata durante o fuori dai pasti. Inoltre può contribuire all’apporto giornaliero dei minerali ( soprattutto calcio, fluoro e sodio) in base alla composizione dell’acqua. Bere adeguate quantità di acqua nella giornata può far ridurre l’assunzione di bevande caloriche come succhi di frutta, alcol e bibite gassate. 

Una regolare ed adeguata assunzione di acqua può determinare un modesto senso di sazietà, anche se assunta fuori dai pasti. Così, una corretta idratazione è ancora più importante nei casi di sovrappeso e obesità e qualora sia necessario seguire una dieta ipocalorica volta al dimagrimento. Alcuni studi scientifici hanno rilevato che una scarsa idratazione può portare a confondere la sensazione di sete con quella di fame determinando un eccessivo consumo di alimenti. 

Quindi non avere una corretta idratazione non provoca direttamente un incremento di peso, ma può influire negativamente su peso e composizione corporea. 

L’acqua andrebbe bevuta distribuendo il più possibile durante l’arco di tutta la giornata per garantire un migliore assorbimento. Gli sportivi dovrebbero curare ancor più approfonditamente l’idratazione, bevendo le giuste quantità prima, durante e dopo per sostenere prestazioni ed un recupero ottimale. Già un calo del peso del 2% imputabile a solo perdita di liquidi può inficiare la prestazione sportiva. 

Infine, un corretto apporto idrico può aiutare a contrastare la ritenzione idrica, stimolando il drenaggio dei liquidi in eccesso attivando il sistema linfatico. 



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17 Gennaio 2025

Quando si parla di dieta il centro della discussione, quasi sempre, sono i carboidrati. Ognuno sembra avere la sua ricetta segreta per quantità, tipologia e timing. Ma come stanno realmente le cose ? Quali sono le linee guida scientifiche per gestire questo importante  micronutriente che non dovrebbe mai essere ridotto drasticamente, fatte le dovute eccezioni ? 

Non è possibile dare un’indicazione unica e valida per tutti, ci sono tanti fattori che possono indurre a modulare la quantità di carboidrati da assumere. Infatti, tanto dipende dal dispendio energetico determinato dallo stile di vita, dal sesso, dalla composizione corporea e dalla capacità del corpo di metabolizzare questo macronutriente.

I Carboidrati

I carboidrati sono molecole costituite da atomi di carbonio, idrogeno ed ossigeno legati attraverso legami semplici.  Eccetto piccole quantità di glicogeno di origine animale e del lattosio, le piante costituiscono la fonte principale di carboidrati della dieta umana. 

I carboidrati sono classificati secondo il numero di unità base da cui sono costituiti, per cui si trovano: i monosaccaridi, gli oligosaccaridi ed i polisaccaridi

I monosaccaridi rappresentano l’unità di base dei carboidrati ne sono un esempio il glucosio, il fruttosio, il ribosio ed il galattosio. 

Gli oligosaccaridi si formano quando 2-10 monosaccaridi si combinano insieme tramite legami chimici, tra questi ci sono ad esempio il lattosio, il saccarosio ed il maltosio

Infine, i polisaccaridi sono prodotti dall’aggregazione di più di 10 molecole di monosaccaridi. Ad esempio due forme di polisaccaridi molto comuni nella nostra dieta sono l’amido e le fibre. L’amido è la forma di deposito dei carboidrati nelle piante, si trova nei semi, nel mais ed in differenti granaglie utilizzate per il pane e la pasta. L’amido viene anche definito carboidrato complesso insieme alla cellulosa, la molecola più abbondante sul pianeta ed al glicogeno. 

Carboidrati complessi

Più precisamente tra i carboidrati complessi troviamo il glicogeno nel regno animale, mentre tra i vegetali amido, cellulosa, inulina, chitina, pectina etc. Glicogeno ed amido hanno una funzione energetica mentre gli altri una strutturale.

L’amido esiste in due forme:

  • amilosio una lunga catena lineare di monomeri di glucosio che si avvolge a spirale 
  • amilopectina in cui i monomeri formano strutture altamente ramificate.

Le proporzioni di queste due forme di amido determinano le caratteristiche dello stesso e la sua digeribilità. Ad esempio cereali, tuberi e legumi sono tre categorie che contengono carboidrati complessi, ma anche la banana contiene amido.  

Carboidrati Semplici

Si definiscono carboidrati semplici o zuccheri i monosaccaridi o disaccaridi, ovvero le molecole glucidiche più piccole che troviamo in natura. Di solito, un’alimentazione sana e bilanciata non dovrebbe apportare più del 5-10% delle calorie provenienti dagli zuccheri semplici aggiunti.

Carboidrati e dieta : Qual’è la loro funzione?

Lo scopo principale dei carboidrati è quello di creare energia, ma questi servono anche per la formazione del DNA oltre che a determinare il gruppo sanguigno. L’energia viene creata quando il glucosio attraverso numerose reazioni biochimiche forma ATP, un composto disponibile e sfruttabile dalle cellule proprio per quello. 

Per evitare delle mancanze energetiche nell’organismo ci sono delle riserve di glucosio nel muscolo e nel fegato. Il glucosio viene impacchettato sotto forma di glicogeno, che ha la caratteristica di accumulare anche acqua. Quando l’organismo ha bisogno di energia viene rilasciato glucosio dal fegato mentre quello nel muscolo è utilizzato soprattutto dalle fibre muscolari.

Così, i carboidrati adempiono a quattro funzioni coinvolte nel metabolismo energetico ed alla prestazione sportiva, vediamo insieme quali sono: 

  1. Fonte Energetica

I carboidrati sono utilizzati principalmente come substrato energetico, in particolare durante uno sforzo fisico. La contrazione muscolare e tante altre funzioni biologiche avvengono  in seguito all’energia liberata dal catabolismo del glicogeno muscolare ed epatico. Così, l’assunzione giornaliera di carboidrati deve essere adeguata al fine di mantenere un buono livello di glicogeno muscolare. 

Tuttavia, quando la scorta di glicogeno ha raggiunto la sua massima capacità, l’eccesso di zuccheri viene convertito ed immagazzinato in grassi.

2. Risparmio di proteine

Un corretto apporto di carboidrati aiuta a preservare le proteine strutturali. Quando le scorte di glicogeno diminuiscono eccessivamente si innesca la sintesi di glucosio a partire dagli aminoacidi. Il prezzo da pagare di questo processo è a carico delle proteine corporee in particolare quelle muscolari. 

3. Attivazione del metabolismo

I carboidrati fungono anche da substrato per avviare l’utilizzo dei grassi da parte del metabolismo. L’organismo passa alla mobilizzazione dei grassi se il metabolismo dei carboidrati ha un livello insufficiente.

4. Energia per il sistema nervoso centrale

Il sistema nervoso centrale richiede un continuo apporto di carboidrati per funzionare correttamente, In condizioni normali il cervello utilizza quasi esclusivamente glucosio ematico come fonte energetica. 

Fabbisogno di Carboidrati

L’apporto di carboidrati deve essere quotidiano per soddisfare le necessità energetiche del corpo, ma le quantità sono soggettive. La quantità consigliata di carboidrati corrisponde al 45-60 % dell’apporto calorico giornaliero. Di questi la maggior parte è bene che siano carboidrati complessi e quindi: cereali integrali, legumi, pasta , pane fonti di amido e fibre

Mentre la quota di zuccheri semplici dovrebbe includere al massimo il 10 % della quota energetica della giornata escludendo la frutta e la verdura. Infatti, gli zuccheri da considerare sono quelli presenti soprattutto nelle bibite, nello yogurt, nei dolci e nei prodotti da forno industriali. 

Una donna sedentaria può avere un fabbisogno di carboidrati di 2-3.5 gr per kg di peso corporeo, invece l’uomo da 2.5 a 4 gr per kg. Ad esempio prendendo come riferimento un uomo di 70 kg l’apporto necessario di carboidrati può  andare dai 180 gr ai 280 gr al giorno. Se i soggetti sono sportivi, la quota di carboidrati va aumentata in base al tipo di allenamento, frequenza e obiettivo che si vuole raggiungere. 

Dunque, come accennato inizialmente la quota di carboidrati che si possono mangiare dipende da diversi fattori. Tra questi rientrano: 

  • il livello di attività sportiva: una persona sportiva ha dei fabbisogni più elevati;
  • se si è uomo e donna: l’uomo ha una composizione corporea differente, con una massa muscolare più alta e quindi necessità maggiori;
  • la capacità ed efficienza del proprio metabolismo nella gestione di questo macronutriente: ad esempio soggetti insulino resistenti o diabetici hanno maggiori difficoltà per la gestione dei carboidrati. 

Per questo motivo è bene affidarsi ad un medico o nutrizionista che valuti correttamente tutto e imposti una dieta personalizzata adatta alle proprie esigenze. 

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10 Gennaio 2025

I calcoli della colecisti o cistifellea sono una patologia molto comune, che è presente nel 10-15% della popolazione con una prevalenza maggiore nelle donne intorno ai quarant’anni.

Una corretta alimentazione con i dovuti accorgimenti  può aiutare la gestione della patologia ed influenzare positivamente lo stato di salute. E’ bene che venga prima effettuata una corretta diagnosi dal medico e poi stabilita con lo stesso o con un nutrizionista una corretta nutrizione.

Cos’è ed a cosa serve la cistifellea?

La colecisti o cistifellea è un organo muscolare cavo a forma di pera che si trova sotto al fegato, sul lato destro dell’addome. La funzione di questo organo è quella di accumulare un liquido: la bile, prima che questa raggiunga l’intestino tenue. Questo liquido è prodotto dal fegato ed è utile nella digestione dei grassi ingeriti con l’alimentazione. La bile è una soluzione acquosa prodotta dal fegato e costituita principalmente da acqua (95%), elettroliti, lipidi (acidi biliari, colesterolo e fosfolipidi), proteine e bilirubina.

Quindi la cistifellea ha due funzioni principali: deposito della bile, fino a 40-70 ml, e sua modificazione. La sua composizione viene gradualmente modificata con l’assorbimento di acqua. L’emissione della bile da parte della cistifellea viene stimolata da un ormone che si chiama colecistochinina, immesso nel circolo duodenale quando arriva il chimo. Quest’ultimo è un liquido molto ricco di acqua ed è composto dai succhi gastrici, dal cibo digerito, dall’acido cloridrico e dagli enzimi digestivi. 

Malattie dovute ad alterato accumulo e secrezione di bile

Quando la bile diventa troppo concentrata ,  si formano cristalli minerali insolubili e sali chiamati calcoli biliari. Si manifesta dunque una colelitiasi che non rappresenta un problema fino a quando i calcoli rimangono di dimensioni tali da poter passare attraverso i dotti. Quando invece i calcoli ostruiscono i dotti e non vengono escreti si manifesta la sintomatologia dolorosa della colecistite. La cistifellea è gonfia e infiammata, possono svilupparsi infezioni e, se non viene rimosso il blocco, è necessario intervenire. 

I calcoli piccoli possono essere chimicamente distrutti tramite una sostanza, metil terz-butil etere, che se introdotta nella cistifellea agisce in poche ore. Purtroppo, però, la colecisti tende a recidivare spesso. Così, poiché la rimozione della cistifellea non sembra avere alcuna ripercussione sulla salute generale e sui normali processi digestivi, spesso viene direttamente asportata. L’intervento viene effettuato con un laparoscopio introdotto attraverso un’incisione di dimensioni limitate. Un altro approccio terapeutico per il trattamento della colelitiasi prevede l’immersione del paziente in acqua e la frantumazione dei calcoli con ultrasuoni. 

Calcoli della cistifellea e Alimentazione : Fattori di rischio

Tra i principali fattori di rischio che possono causare colelitiasi vi sono:

  • Obesità e sovrappeso;
  • Dieta ricca di grassi e povera di fibra;
  • Diabete di tipo 2;
  • Stipsi;
  • Rapido dimagrimento con diete fortemente ipocaloriche. 

La sintomatologia invece può essere presente o meno, molti pazienti che soffrono di colelitiasi rimangono senza sintomi per tanti anni. In altri casi, invece, i calcoli possono causare sintomi o complicanze anche severe. 

Il sintomo più comune è quello della colica biliare, che spesso avviene dopo il pasto e provoca un dolore improvviso ed acuto nella parte destra dell’addome. Il dolore può avvenire sotto forma di fitte che durano pochi minuti o alcune ore. 

Altri sintomi possono anche essere: nausea e vomito, dolore alla schiena, febbre o brividi, pelle ed occhi gialli, diarrea. Per fare una diagnosi di colelitiasi è necessario fare un ecografia addominale.

Alimentazione e colelitiasi

Avere un’alimentazione equilibrata può diminuire il rischio di sviluppare calcoli o ridurre gli episodi di coliche biliari oltre che migliorare l’efficacia dei farmaci per il trattamento della patologia. 

E’ consigliabile avere un’alimentazione ricca di fibre, evitando eccesso di grassi e zuccheri, mantenere una buona idratazione bevendo un paio di litri di acqua al giorno. Inoltre, consumare dei pasti non troppo abbondanti migliora la motilità della cistifellea e riduce il rischio di accumulare colesterolo nella bile. Infine, preferire cotture semplici come la cottura a vapore, ai ferri, alla griglia o piastra, al forno o al cartoccio. 

Calcoli della cistifellea e Alimentazione: Quali cibi evitare?

Ci sono alcuni alimenti che possono avere un maggior riscontro negativo per i calcoli biliari, vediamo insieme i principali: 

  • Superalcolici e alcolici.
  • Condimenti grassi come burro, lardo, strutto, panna, margarine, etc.
  • Salse con panna, sughi molto cotti con abbondanti quantità di olio.
  • Brodo di carne, estratti per brodo, estratti di carne.
  • Insaccati ad alto contenuto di  grassi saturi come mortadella, salame, salsiccia, pancetta, zampone, etc.
  • Pesci grassi (es. anguilla, aringa, salmone, capitone, etc.), molluschi e crostacei.
  • Carni grasse, affumicate, marinate e salate. Selvaggina e frattaglie.
  • Latte intero.
  • Cibi tipici da fast food o junk food, in questi alimenti ci possono essere elevate concentrazioni di grassi trans , che se assunti in eccesso sono dannosi per la salute. 

Questo elenco rappresenta una panoramica generica di alimenti che deve essere modulata, insieme a tanti altri cibi e comportamenti, secondo le caratteristiche del paziente. E’ importante l’intervento di un professionista, che sia un medico o un nutrizionista, per creare un’alimentazione sana ed equilibrata secondo questi e tanti altri aspetti.

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4 Dicembre 2024

Le proteine sono uno dei tre principali macronutrienti dell’alimentazione, sono presenti in moltissimi cibi, molti dei quali vengono spesso poco considerati. E’ uno dei fattori a  cui si rivolge più attenzione, forse troppa, soprattutto in ambito sportivo e per la crescita di massa muscolare. Così, diventa molto importante sapere alcune caratteristiche e nozioni per gestire al meglio questo macronutriente. Ad esempio, è fondamentale considerare l’apporto energetico della quota proteica e di conseguenza il fabbisogno necessario rispetto all’obiettivo scelto, la propria condizione e le abitudini alimentari. 

Ci sono molte variabili che possono determinare quantità diverse da soggetto a soggetto, come: 

  • età, 
  • sesso, 
  • attività sportiva, 
  • composizione corporea,
  • stato di salute.

Per questo è importante affidarsi sempre ad un medico o ad un biologo nutrizionista. così da avere una dieta equilibrata considerando tutti questi aspetti.

Cosa sono le proteine?

Il termine proteine deriva dalla lingua greca e significa di “primaria importanza”. Dal punto di vista strutturale le proteine sono simili ai carboidrati ed ai lipidi poiché contengono atomi di carbonio, idrogeno ed ossigeno. Queste molecole, tuttavia, contengono anche l’azoto, lo zolfo ed occasionalmente fosforo, cobalto e ferro. Le proteine sono costituite da sequenze di aminoacidi, ossia l’unità costitutiva della proteina, che si uniscono tra loro particolari legami detti peptidici. Gli amminoacidi sono 20, siccome l’organismo non è in grado di sintetizzarne alcuni ( chiamati per questo essenziali) è necessario assumerli con l’alimentazione.

Una persona di adulta ha di solito dai 10 ai 12 kg di proteine con la maggiore quantità localizzata all’interno del muscolo scheletrico. L’organismo può sintetizzare circa 80000 tipi diversi di proteine, le singole cellule contengono migliaia di proteine differenti; alcune hanno una conformazione lineare altre tridimensionali. 

Le funzioni biochimiche e le proprietà di ogni proteina dipendono dalla sequenza specifica degli aminoacidi che la compongono.

Funzione delle proteine nel corpo

Le proteine sono presenti nel corpo umano soprattutto nel plasma, nei tessuti degli organi e nella massa muscolare. Non esistono scorte libere di proteine, infatti sono tutte impegnate in diverse funzioni, come quella:

  • plastica nella formazione e struttura dei tessuti, 
  • energetica, anche se in minima parte, soprattutto in assenza di adeguate quantità di glicogeno muscolare
  • regolatrice, gli enzimi sono fondamentali per il funzionamento del metabolismo;
  • di trasporto ( come ad esempio l’emoglobina, l’albumina, la mioglobina), 
  •  nel metabolismo ormonale e del sistema immunitario.

Le proteine rappresentano il 12-15% della massa corporea , ma vi è una grande differenza nel contenuto proteico delle diverse cellule.  Per esempio un neurone contiene solo il 10% di proteine, mentre una cellula muscolare o un globulo rosso il 20%. Inoltre, il contenuto proteico del muscolo scheletrico può aumentare in seguito ad un allenamento di potenziamento e rinforzo muscolare.

Proteine, alimentazione e massa muscolare : metabolismo delle proteine

Il complesso delle reazioni che portano alla sintesi di tessuti si chiama anabolismo e la richiesta e necessità di aminoacidi variano in relazione a specifiche condizioni. Ad esempio nel periodo di crescita e sviluppo circa un terzo delle proteine assunte con la dieta viene usato per processi di sintesi. Una volta raggiunta una massa corporea costante la necessità dell’apporto proteico è legato principalmente alla continua distruzione e risintesi delle proteine strutturali.

Quindi la principale funzione delle proteine della dieta è quella di dare  aminoacidi da usare nei processi anabolici. Invece, un’altra quota proteica viene sfruttata a scopo energetico andando incontro ad una degradazione (catabolismo). Il catabolismo delle proteine determina che queste vengono scisse in singoli aminoacidi, l’azoto liberato attraverso un processo che avviene nel fegato e forma urea. A sua volta, l’urea prodotta viene eliminata con le urine. 

Tipologie di proteine nell’alimentazione

Come già accennato, otto aminoacidi (nove in persone anziane e bambini) non possono essere sintetizzati dal nostro organismo e devono pertanto essere introdotti con la dieta. Si tratta degli aminoacidi essenziali, gli altri sono definiti non essenziali in quanto il nostro organismo li riesce invece a produrre. 

Il valore biologico (VB) è un indice che serve valutare le proteine introdotte con l’alimentazione. Questo indice si esprime con un valore numerico ed indica quantità, qualità ed al rapporto degli aminoacidi essenziali presenti negli alimenti. 

Fonti di proteine nobili, ad alto valore biologico, sono ad esempio uova, latte, carne ,pesce e pollame. Sorgenti di proteine di alta qualità sono così il siero, il colostro, la caseina, il latte e le uova. Proprio quest’ultime sono in cima alla classifica perché forniscono una miscela di aminoacidi essenziali ottimale rispetto agli altri alimenti. Tuttavia, va considerato che nelle uova la quantità per 100 gr di aminoacidi è più bassa rispetto ad altri cibi.

Le proteine di origine animale posseggono sempre proteine nobili mentre quelle vegetali sono incomplete mancando sempre di uno o più aminoacidi. Si può facilmente risolvere questo problema abbinando nello stesso pasto due cibi di origine vegetale che compensano a vicenda le loro mancanze. Ad esempio un ottimo abbinamento è quello tra legumi e cereali integrali. Così anche chi segue una dieta vegetariana o vegana può avere un’alimentazione equilibrata e completa. In alternativa sono presenti integratori alimentari come proteine in polvere o aminoacidi essenziali che possono sopperire alla mancanza. 

Affidarsi ad un nutrizionista è sempre la migliore soluzione per avere un piano alimentare equilibrato e che rispetti fabbisogni e stili di vita. Infatti, bisogna considerare che gli alimenti con maggior quantità presenza di proteine hanno anche altri nutrienti come ad esempio grassi, carboidrati e minerali da bilanciare. 

Proteine, alimentazione e massa muscolare : Quante proteine mangiare?

Infine, uno degli argomenti più dibattuti in ambito nutrizionale è quante proteine occorrano per soddisfare i fabbisogni, soprattutto in ambito sportivo. Le linee guida e gli studi scientifici offrono dei dati oggettivi chiari da utilizzare. 

A differenza di quanto pensano in molti, non esiste un reale vantaggio nell’aumentare in modo eccessivo l’apporto proteico giornaliero per aumentare la massa muscolare. Questa non aumenta soltanto consumando cibi ricchi di proteine, ma con il giusto apporto energetico e di tutti i macronutrienti. 

La dose giornaliera raccomandata è di 0.8 gr/kg di peso corporeo, che però esprime l’apporto proteico minimo per non avere problemi da carenza proteica nella popolazione generale.

In popolazioni specifiche, come gli anziani o sportivi, un apporto proteico maggiore di 1 gr/ kg di peso corporeo è addirittura consigliato. Così, in atleti impegnati in allenamenti intensi, si suggerisce di consumare tra 1.2 e 2 gr di proteine/ kg di peso corporeo.

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19 Novembre 2024

Non è semplice affrontare il tema della dieta chetogenica in Italia, patria della pasta, della pizza, della dieta mediterranea e del buon cibo in generale. Tuttavia, è importante farlo perché questo tipo di dieta  sta riscuotendo sempre più attenzione e successo che possono generare pericolosi fenomeni di improvvisazione. Infatti, la chetogenesi ,come altri approcci dietetici e nutrizionali, presuppone la conoscenza di alcuni processi fisiologici e metabolici di base, in questo caso meno scontati. In tale approccio è indispensabile la guida di un professionista ,qualificato ed esperto, che consideri le diverse esigenze salutari o di prestazione sportiva della persona. 

Qualsiasi sia il motivo per cui una persona segua una dieta chetogenica va sempre calibrata e monitorata nel tempo. Il medico ed il biologo nutrizionista sono i professionisti in grado di fornire una dieta chetogenica con solide evidenze scientifiche, garantendo sicurezza e  risultati. 

Cos’è la dieta chetogenica?

La dieta chetogenica è nata più di cento anni fa per scopi terapeutici, in particolare nel trattamento dell’epilessia. Successivamente questo regime alimentare si è evoluto e adattato consentendo l’applicazione in diversi contesti, quindi anche per il dimagrimento. 

Questa dieta induce il corpo ad entrare in un particolare stato fisiologico e metabolico che utilizza, a scopo energetico, i grassi invece degli zuccheri. Infatti, l’organismo impiega principalmente il glucosio per produrre energia e svolgere tutte le sue funzioni. Con la dieta chetogenica viene fortemente limitata la disponibilità di carboidrati inducendo il corpo ad utilizzare i grassi e producendo delle molecole: i corpi chetonici.  

La dieta chetogenica prevede un apporto di carboidrati molto basso, di proteine discreto e di grassi medio-alto.  In questo modo il corpo entra in chetosi, di solito dal terzo giorno di dieta e finché si mantiene un basso apporto di carboidrati. Spesso si associa la riduzione dei carboidrati ad una perdita di peso automatica, questo non è assolutamente vero. Infatti, il bilancio energetico è sempre il punto centrale dal quale partire per una perdita di grasso e di peso. Le calorie contano ed a prescindere dal tipo di alimentazione che si segue se si introducono meno calorie rispetto ai fabbisogni energetici si dimagrisce. 

Infine, poiché la quantità di proteine non è alta e rispetta le linee guida ed i fabbisogni della persona, la dieta chetogenica non è iperproteica

Caratteristiche della chetosi

Va specificato che la chetosi fisiologica, ottenuta dalla riduzione di carboidrati e la formazione di corpi chetonici, non crea nessun problema ad un organismo sano.  Spesso la preoccupazione nei confronti di questo approccio dietetico è che la chetosi porti ad una acidificazione del sangue. Tuttavia, in un soggetto sano ci sono dei meccanismi che controllano la chetosi e impediscono che accada una cosa simile.  

La chetosi,che il corpo induce in assenza di quantità adeguate di carboidrati, potrebbe essere una conseguenza di un adattamento ed un’evoluzione ancestrale. Se presente una quantità sufficiente di carboidrati la maggior parte di organi e tessuti utilizza proprio questi per ottenere energia. Ci sono poi alcune eccezioni, ad esempio il cuore utilizza sempre un misto glucosio, acidi grassi e chetoni. Il glucosio viene ottenuto maggiormente dai carboidrati assunti dalla dieta ma una parte può essere prodotta anche a partire da altre sostanze. 

La quantità di chetoni, con un’alimentazione del genere, aumenta molto e dopo qualche giorno la maggior parte dell’energia deriverà da acidi grassi e chetoni. Il cervello continuerà invece a bruciare chetoni e glucosio ma con un’elevata percentuale di chetoni. Altri organi, oltre al cervello, necessitano di glucosio per funzionare correttamente, tra questi: i globuli rossi, la midollare del surrene ed il midollo osseo. 

I vantaggi

I principali e più accreditati vantaggi di seguire una dieta chetogenica sono:

  • perdita di peso
  • diminuzione del senso di fame
  • riduzione delle emicranie e cefalee
  • calo della glicemia nel sangue 
  • riduzione di alcuni marcatori dell’infiammazione

Oltre a questi benefici la dieta chetogenica è molto studiata ed usata in ambito neurologico e nel trattamento di alcune patologie. Ad esempio, l’efficacia della dieta chetogenica nel trattamento dell’epilessia è ormai testimoniata da molti studi scientifici. Recenti studi sembrerebbero indicare come la dieta chetogenica possa contribuire anche al trattamento di patologie neurodegenerative come Parkinson, Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). 

Proprio in virtù dei diversi aspetti, per i quali questo tipo di alimentazione può essere sfruttata, sono presenti differenti tipi di diete chetogeniche. Le differenze dietetiche sono determinate principalmente dal grado di chetosi e da ciò che si vuole ottenere in base alla condizione presente. 

Tipologie di dieta chetogenica

Come tutte le diete anche la dieta chetogenica deve essere correttamente calibrata su un corretto quantitativo di energia (calorie) rispetto ai fabbisogni della persona. Però rispetto agli altri tipi di protocolli, la chetosi viene innescata da un preciso rapporto tra grassi e la somma di proteine e zuccheri. Questo rapporto viene chiamato rapporto chetogenico e può variare da 1:1 a 4:1 , in base a che livello di chetosi si voglia arrivare. 

La dieta chetogenica originaria, ad esempio, presuppone un rapporto 4:1 con una quantità di grassi molto elevata in grado di garantire una chetosi profonda. Questo tipo di approccio si è visto avere degli ottimi risultati soprattutto con le crisi epilettiche. 

Un altro tipo di dieta chetogenica è la VLCKD, ossia Very Low-Calorie Ketogenic Diet, una dieta fortemente ipocalorica molto spesso utilizzata in casi di obesità. In questo caso il rapporto chetogenico è meno sbilanciato in favore dei grassi e si privilegia una perdita di peso rapida. Un altro tipo di dieta chetogenica è quella MCT (Medium Chain Triglyceride), in cui i grassi sono costituiti da acidi grassi a catena media. Questa tipologia di grassi sono presenti ad esempio nell’olio di cocco ed altre fonti di vegetali. 

La dieta chetogenica è sempre la scelta giusta?

Nonostante la dieta chetogenica sia molto utilizzata, è importante sapere che non sempre rappresenta la soluzione corretta e ideale per dimagrire. Non tutti gli individui rispondono allo stesso modo e soprattutto non è un  modello alimentare che è possibile applicare senza considerare alcune condizioni mediche.

Infatti la dieta chetogenica è sconsigliata per soggetti cardiopatici, con patologie della tiroide, della cistifellea e con diabete di tipo 1. Anche in gravidanza ed allattamento è un tipo di alimentazione da evitare così come in soggetti con patologie renali o epatiche. Le persone  che seguono la dieta chetogenica hanno più possibilità di sviluppare stitichezza, carenze nutrizionali ed altre malattie croniche. 

La dieta chetogenica presuppone pianificazione, preparazione e qualche sacrificio. Nella fase di passaggio alla chetosi si possono sperimentare sensazioni di affaticamento, mal di testa, stordimento che cessano appena si entra in chetosi. 

In ultimo non è da sottovalutare che essendo una dieta restrittiva molte persone trovano difficoltà a cenare fuori e mantenere una piacevole socialità. E’ bene ricordare che i vari protocolli dietetici e dimagranti non sono valevoli indiscriminatamente per tutti. Trovare la corretta soluzione ed alimentazione, in base alla propria condizione, con un nutrizionista è la scelta più saggia. 

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8 Novembre 2024

Il diabete mellito gestazionale (GDM) è una condizione che si può verificare in gravidanza, in cui si manifesta un’alterazione del metabolismo del glucosio. Secondo dati europei e nazionali si stima che circa il 6-7% delle gravidanze siano rese più difficili dall’insorgenza di questo tipo di diabete.

Il diabete gestazionale si definisce in base a diversi parametri, ma sicuramente deve essere diagnosticato per la prima volta durante la gravidanza. Questi casi di diabete si risolvono spesso dopo il parto, pur essendoci un rischio maggiore che anni dopo si ripresenti come diabete di tipo 2. 

Una piccola percentuale di donne affette da diabete gestazionale presenta delle peculiarità del diabete autoimmune dal punto di vista genetico, immunologico e clinico. In seguito, pressappoco la metà di queste donne dopo la gravidanza saranno affette da diabete autoimmune. 

Complicanze e sintomi del diabete gestazionale

Il diabete mellito gestazionale se non trattato correttamente può indurre delle complicanze durante il parto, sia alla madre che al feto. Inoltre, con il diabete gestazionale aumenta il rischio di malformazioni fetali e/o morte intrauterina. 

Molti studi scientifici indicano che dei valori alterati di glucosio nella parte finale della gravidanza aumentino la probabilità di complicanze perinatali. 

Altri dati indicano che il rischio, per chi ha avuto il diabete gestazionale, di manifestare anche diabete di tipo 2 nei successivi 5-10 anni dal parto sia molto superiore rispetto  alle donne che non lo hanno avuto. 

Purtroppo sintomi evidenti che identifichino questa patologia il più delle volte non ci sono. Di rado si può notare una sensazione di sete, nausee, infezioni e necessità di urinare.  Per questi motivi è molto importante agire in ottica preventiva, facendo tutti i controlli medici e ginecologici previsti e adottando una dieta adeguata.

Solitamente la diagnosi viene eseguita facendo un test ,che prevede una carico di glucosio orale, tra la   24° e 28° settimana di gravidanza. Più precisamente è somministrata per bocca una soluzione di 75 grammi di glucosio e poi misurata la glicemia con un prelievo di sangue venoso.  I prelievi sono fatti in tre momenti differenti: all’inizio, dopo un’ora ed ancora dopo due ore. 

Per la diagnosi di diabete gestazionale la glicemia deve essere uguale o superiore a questi valori limite:

  • 92 mg/dl a digiuno;
  • 180 mg/dl a 60 minuti;
  • 153 mg/dl a 120 minuti.

Quali sono le cause ed i fattori di rischio del diabete gestazionale?

Le cause che molto spesso portano all’insorgenza del diabete mellito gestazionale sono dovute principalmente a cambiamenti ormonali durante la gravidanza. Succede che la placenta produce degli ormoni che ostacolano l’azione dell’insulina facendo aumentare i valori di glicemia. Se il pancreas non risponde producendo più insulina per diminuire la glicemia o se vi è una resistenza all’insulina si sviluppa il diabete gestazionale. 

Ci sono dei fattori di rischio che andrebbero considerati anche se solo su alcuni di essi è possibile intervenire, vediamone insieme alcuni: 

  • sovrappeso e obesità 
  • precedente neonato macrosomico dal peso di 4.5 kg o maggiore
  • diabete gestazionale in gravidanza precedente
  • anamnesi familiare di diabete (parente di primo grado con patologia)
  • famiglia originaria di aree ad alta prevalenza di diabete.

Prevenzione del diabete gestazionale con lo stile di vita

I fattori di rischio sui quali è possibile intervenire maggiormente sono la corretta alimentazione ed uno stile di vita attivo, prevenendo così sovrappeso ed obesità. Praticare attività sportiva, secondo la propria situazione e possibilità, o comunque condurre una vita non sedentaria è altrettanto importante. Ad esempio, ritagliarsi nella giornata 30 minuti per fare una camminata è una buona idea per migliorare il metabolismo glucidico e la sensibilità insulinica. 

Ovviamente durante la gravidanza è bene svolgere tutti i controlli medici previsti per poter diagnosticare l’eventuale insorgenza di diabete in maniera precoce. E’ fondamentale avere una corretta alimentazione e gestione della glicemia in ogni momento della giornata per diminuire il rischio di complicanze per madre e feto. 

Così, è necessario avere una dieta personalizzata, sviluppata da un professionista come un medico o un biologo nutrizionista .  La parte che richiede maggiore attenzione è senza dubbio la gestione degli zuccheri e dei carboidrati, che si dovranno assumere nelle giuste quantità ed abbinamenti. Oltre alla quantità di zuccheri che si mangiano il nutrizionista ha  il ruolo di gestire soprattutto il carico glicemico dei diversi pasti nella giornata. Questo è molto importante per non creare una risposta glicemica ed insulinica alterata e pericolosa. L’apporto delle giuste quantità di verdure e frutta consentono il corretto introito di fibre, un componente veramente indispensabile nella sazietà e assorbimento degli zuccheri.

Se tutto ciò non dovesse bastare, l’intervento medico con  una terapia farmacologica, è indispensabile per avere i giusti livelli di zuccheri nel sangue ed evitare rischi. 


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11 Ottobre 2024

Il cachi o kaki è un albero da frutta della famiglia delle Ebenacee, il cui frutto si consuma nel periodo autunnale. Il nome scientifico del frutto è Diospyros kakii, mentre il nome italiano deriva da quello del frutto in giapponese: kaki 柿.

Definito mela d’oriente , i cinesi lo definirono l’albero delle sette virtù perché: vive a lungo, dà grande ombra, ospita i nidi degli uccelli, ha un’ottima legna per fare il fuoco, non è attaccato da parassiti, le foglie caduche sono un buon concime, le foglie giallo-rosse del periodo autunnale sono decorative. 

Il cachi è noto oggi come l’albero della pace perché sopravvisse ai bombardamenti di Nagasaki , in Giappone, nell’agosto del 1945. 

Storia del Cachi

L’origine di questo frutto è asiatica, infatti in Cina è coltivato da più di 2000 anni ed è una della piante da frutto più antiche coltivate dall’uomo. Dalla Cina si è poi diffuso in altri paesi d’oriente come la Corea ed il Giappone per poi arrivare solo verso l’ottocento in America ed in Europa. E’ un albero subtropicale che però si adatta molto bene anche al clima del mediterraneo, per questo poi si è diffuso anche nel nostro paese.  

In Italia è arrivato soltanto verso il 1880 ed è attualmente coltivato principalmente in Emilia Romagna, Campania, Sicilia e Veneto. Questo frutto sembra fosse apprezzato particolarmente anche da Giuseppe Verdi che in una lettera del 1888 ringrazia chi gliene aveva fatto dono. 

Caratteristiche e proprietà nutrizionali del cachi

Il frutto ha un aspetto rotondo , soffice , carnoso e dal colore arancione. Esistono anche diverse varietà di cachi come ad esempio i cachi mela ed i cachi vaniglia che hanno una consistenza più solida e meno gelatinosa.  

Spesso questo frutto viene considerato eccessivamente  calorico e zuccherino, sconsigliato per le diete dimagranti ed ipocaloriche, ma sbagliando. E’ infatti vero che il cachi presenta una quantità di zuccheri semplici leggermente superiore agli altri frutti ma di poco. Considerando 100 gr di prodotto la quantità di carboidrati è 16 gr. Inoltre, l’apporto energetico per una porzione di frutta , circa 150 gr, corrisponde a un centinaio di kcal quindi perfettamente in linea con gli altri frutti. 

Inoltre, seppur la quantità di zuccheri sia leggermente più alta è presente anche una maggior quantità di fibra; un frutto copre quasi il 15% del fabbisogno di fibra. La fibra è un nutriente cruciale per l’alimentazione ed il benessere del corpo umano, agendo sulla peristalsi e sul microbiota dell’intestino.

Le persone affette da diabete ed insulino resistenza o comunque con un dismetabolismo degli zuccheri devono avere maggior attenzione al consumo di questo frutto. La cosa importante da gestire non è tanto la quantità di zuccheri presenti nel frutto ma piuttosto il carico glicemico del pasto, ossia la quantità di carboidrati del pasto. Se nel pasto già ci sono delle quantità di carboidrati medio-alte è preferibile spostare il frutto in un altro momento, ad esempio a colazione o a merenda.                                 

In questi casi è meglio affidarsi ad un professionista dell’alimentazione come un medico o un nutrizionista per avere una dieta corretta e bilanciata. 

Benefici per la salute

Tra le varie proprietà di questo frutto vi è l’alta quantità di beta carotene, precursore della vitamina A, con circa 356 µg retinolo equivalenti. Sono presenti poi anche luteina e zeaxantina, dei pigmenti presenti negli occhi ed importanti per la funzione visiva.  

Anche la quantità di vitamina C è buona, coprendo circa il 35-40% del fabbisogno giornaliero di questo micronutriente. Ci sono poi in quantità più basse anche potassio, calcio , ferro e sodio.

Il sapore astringente del cachi è dovuto anche alla presenza di flavonoidi e tannini che sono dei composti bioattivi importanti per la nostra salute. Ma il grande potenziale antiossidante del cachi è dovuto alla presenza di licopene che sembrerebbe ridurre il rischio di tumori della mammella, prostata e intestino.  Nella stagione autunnale la presenza di alimenti ricchi di licopene diminuisce non essendo presenti pomodori, anguria e peperoni, per questo è importante consumare questi frutti. 

Curiosità e ricette

In medicina cinese sono studiate ed utilizzate anche le foglie del cachi che sembrerebbero avere delle proprietà benefiche per la grande presenza di polifenoli. La quantità di questi composti è ancora più elevata che nel frutto. Tra le attività benefiche degli estratti di foglie del cachi ci sarebbero quelle ipolipemizzanti, antidiabetiche, antibatteriche, emostasi ed effetti sul sistema cardiovascolare. 

Infine, una ricetta a base di cachi semplice e veloce potrebbe essere un dolce al cucchiaio come il budino di polpa di cachi e cacao amaro. La dolcezza dei cachi fa sì che si possa evitare l’utilizzo di zucchero, mentre la consistenza gelatinosa e addensante della polpa forma  il budino. 


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4 Ottobre 2024

Gli omega-3 sono una tipologia di acidi grassi polinsaturi che fanno parte della categoria dei grassi o lipidi. Gli acidi grassi omega-3 sono definiti essenziali perché il corpo non li riesce a sintetizzare, motivo per cui devono essere assunti con la dieta. 

Esistono diversi omega-3, ma la maggior parte della ricerca scientifica si concentra su tre: 

  • acido alfa-linolenico (ALA)
  • ” eicosapentaenoico (EPA)
  • ” docosaesaenoico (DHA).

In realtà l’unico essenziale dei tre sarebbe l’acido alfa-linoleico (ALA), dal quale vengono poi prodotti gli altri due dall’organismo. Tuttavia, la capacità di produrre quantità corrette è piuttosto bassa per cui è preferibile assumerli con la dieta. In natura solo le alghe e le piante sono in grado di sintetizzare ALA.

La struttura chimica di questi grassi è costituita da una lunga catena di atomi di carbonio con un insaturazione (un doppio legame tra i carboni). Questo doppio legame si trova sul terz’ultimo carbonio per questo si chiama omega-3, poi in base alla molecola possono essere presenti anche altri doppi legami. 

Le Proprietà

I grassi omega-3 sono considerati dei grassi buoni, quindi con delle proprietà benefiche e salutari per il corpo umano. Tra le varie caratteristiche di questi acidi grassi vi sono quelle di diminuire il livello di colesterolo nel sangue ed il rischio di patologie cardiovascolari. 

Inoltre, sembrerebbero apportare altri vantaggi come ad esempio:

  • Migliorare la composizione delle membrane cellulari.
  • Influenzare positivamente la risposta infiammatoria.
  • Difendere l’apparato cardiovascolare e prevenire ictus, aterosclerosi, ipertensione e trombosi.
  • Rallentare il decadimento cognitivo e sostenere la corretta funzionalità neurologica.
  • Formare la retina e migliorare la qualità visiva. 

La quantità necessaria è piuttosto bassa. Così, con una dieta che include pesce azzurro, frutta a guscio, verdure a foglia larga ed oli vegetali è difficile avere carenze.

In caso di mancanza di omega-3 è possibile che si verifichino sintomi neurologici e alterazioni delle capacità cognitive, ridotta funzionalità cognitiva e della funzionalità visiva. 

In quali cibi si possono trovare ?

Nonostante la quantità necessaria al corpo non sia così alta gli acidi grassi omega-3 sono presenti solo in alcuni alimenti. Inoltre si è visto come la nostra dieta sia molto più ricca di grassi omega-6, determinando un rapporto tra le due tipologie di grassi scorretto. Quest’ultima tipologia di grassi, infatti, si trova abbondantemente in frutta secca, oli vegetali e carni animali. 

Invece i cibi che contengono ricche quantità sono:

  • noci
  • semi di lino, di chia e di canapa. 
  • pesce grasso come il salmone, lo sgombro, le aringhe, la trota, il tonno, le alici ed il pesce azzurro in generale.
  • soia
  • alghe

Riguardo la frutta secca va fatta una precisazione: la quantità di omega-6 è eccessiva ed il rapporto omega-3/omega-6 sbilanciato, per cui andrebbe consumata con parsimonia. Le noci sono quelle che hanno il miglior rapporto omega-3/omega-6.

Gli integratori di omega-3 sono generalmente costituiti da olio di pesce in differenti tipologie come le capsule, soluzioni liquidi ed opercoli. L’integrazione è sicura e nei casi di carenza efficace, raramente presenta effetti collaterali che possono essere difficoltà digestive e produzione di gas intestinale. E’ bene ricordare che gli omega-3 possono aumentare il rischio di emorragie, così è consigliabile effettuare l’integrazione essendo seguiti da un medico o un nutrizionista. 

L’integrazione di omega-3 può essere consigliata nell’ultimo trimestre di gravidanza per migliorare la formazione degli organi, diminuire la probabilità di parto pretermine e lo sviluppo dell’ipertensione gravidica. 

In che quantità e come gestire gli omega-3

Secondo le linee guida, l’assunzione di omega-3 dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 ed il 2% del fabbisogno energetico quotidiano. Il rapporto di assunzione di omega-6/omega-3 dovrebbe essere di 4 a 1 mentre attualmente si stima che nella dieta occidentale sia di 8 a 1. 

Anche la cottura degli alimenti può causare un deterioramento dei grassi polinsaturi diminuendone le qualità. Le alte temperature alterano la struttura e la funzione dei grassi creando stress ossidativo e radicali liberi.  Quindi è consigliabile una cottura docile, breve e non aggressiva come quella al microonde, al vapore oppure anche la bollitura ma per pochi minuti. Per la frutta a guscio, semi ed oli vegetali, come quello di lino o di canapa, è consigliabile un uso a crudo e senza  cottura o tostatura. 


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19 Luglio 2024

La gotta è una malattia metabolica che causa attacchi di artrite in seguito all’accumulo di cristalli di acido urico nelle articolazioni. Sono principalmente gli uomini che ne soffrono ma nelle donne in menopausa l’incidenza aumenta in maniera decisa. Una volta veniva definita la “malattia del Re” perché si manifestava soprattutto in chi poteva permettersi di mangiare tanto. Attualmente interessa soprattutto chi non si alimenta correttamente, anche se per il 70% dei casi la gotta ha cause genetiche. 

L’artrite si manifesta in una forma complessa in cui i sintomi principali sono: 

  • attacchi improvvisi e gravi di dolore, 
  • gonfiore, 
  • arrossamento,
  • dolorabilità in una o più articolazioni, più spesso nell’alluce circa nel 75% dei casi.

L’attacco di gotta può venire anche all’improvviso, ad esempio anche durante la notte con la sensazione che l’alluce sia in fiamme. Gli attacchi sono dolorosi, infatti l’articolazione si presenta calda, gonfia e così dolente che persino il peso il lenzuolo sopra di essa può sembrare intollerabile.

Ci sono diversi modi per gestire i sintomi e prevenire le riacutizzazioni, vediamo in seguito come. 

Cause della Gotta

Il meccanismo principale attraverso cui si verifica la gotta è l’accumulo nell’articolazione di cristalli di urato, che determinano infiammazione e dolore acuto. I cristalli di urato si formano quando la quantità di acido urico nel sangue è eccessivamente alta. Il corpo umano produce acido urico scomponendo le purine che sono delle molecole organiche azotate e presenti in tutte le cellule. Questi composti costituiscono anche il nostro di DNA ed RNA con le basi azotate (adenina, guanina ed uracile nell’RNA). 

Altre purine note ed importanti sono la caffeina del caffè, la teobromina del tè e la xantina presente in entrambi. Di solito la quantità di acido urico nel sangue viene regolata dall’organismo attraverso l’escrezione nelle urine dai reni. Quando invece il corpo produce troppo acido urico e lo accumula, oppure i reni ne espello troppo poco, si viene a causare iperuricemia. Come accennato quando l’acido urico si accumula eccessivamente si formano nei tessuti limitrofi o nell’articolazione dei cristalli di urato affilati e aghiformi che causano dolore, infiammazione e gonfiore.

Quali sono i fattori di rischio?

I fattori che aumentano il livello di acido urico nel corpo includono:

  • L’alimentazione: avere una dieta sbilanciata consumando molta carne rossa , crostacei e bere bevande zuccherate con fruttosio incrementa i livelli di acido urico. Anche il consumo di alcol, soprattutto di birra, aumenta il rischio di gotta.
  • Peso: in sovrappeso il corpo produce più acido urico e si ha maggior difficoltà da parte dei reni ad eliminarlo.
  • Patologie: Il rischio di gotta può aumentare in presenza di malattie come l’ipertensione, il diabete, l’obesità, la sindrome metabolica e le malattie cardiache e renali.
  • Farmaci: alcuni farmaci possono aumentare il rischio di gotta. Tra questi troviamo l’aspirina a basso dosaggio e alcuni farmaci usati per controllare l’ipertensione. Lo stesso vale per l’uso di farmaci antirigetto prescritti alle persone che hanno subito un trapianto d’organo.
  • Storia familiare di gotta: se altri membri della tua famiglia hanno avuto la gotta, è più probabile che tu sviluppi la malattia.

Complicanze nella gotta

Le persone affette da gotta possono sviluppare con il tempo condizioni più gravi.

In alcuni individui la gotta può essere ricorrente e verificarsi con diversi episodi. Se non trattata adeguatamente la gotta può portare all’erosione e compromissione dell’articolazione. I farmaci possono aiutare gli attacchi di gotta ricorrenti. 

Mentre la gotta non trattata può causare la formazione di depositi di cristalli di urato sotto la pelle. I cristalli si possono formare in diverse aree, come le dita, le mani, i piedi, i gomiti o i tendini di Achille lungo la parte posteriore delle caviglie. Solitamente questa condizione non produce molto dolore, ma possono creare gonfiore e dolore durante gli attacchi di gotta. Gli attacchi di gotta partono colpendo in primis l’alluce, con una successiva estensione ad altre zona già elencate precedentemente. 

Infine i cristalli di urato possono ammassarsi nelle vie urinarie delle persone con  gotta, causando calcoli renali. I farmaci possono aiutare a ridurre il rischio di calcoli renali.

Nell’Alimentazione..

La cura per la gotta è farmacologica, attraverso un’adeguata terapia si riduce l’uricemia. Tuttavia si può aiutare la gestione della patologia con una dieta povera o priva di ‘purine’. 

La prima regola è quindi di eliminare o ridurre drasticamente tutti gli alimenti che contengono purine oltre che ridurre l’apporto proteico. Principalmente sono alimenti di origine animale ad eccezione di uova e latticini. 

Tra i cibi che hanno un alto contenuto di purine troviamo: pesce azzurro (alici, acciughe e sardine) frattaglie (fegato, animelle, cervello), estratto di carne e selvaggina.

I cibi con un medio contenuto di purine sono invece: carni, pollame, crostacei, salami e insaccati in genere, legumi (piselli, fagioli, lenticchie), asparagi, spinaci, cavolfiori e funghi.

Infine i cibi a basso contenuto di purine: latte, uova, formaggi, verdure, ortaggi (escluso quelli sopra detti), frutta, pasta e altri cereali (tranne germe di grano e prodotti integrali).

Così, sarebbe meglio seguire un’alimentazione con una buona percentuale di carboidrati (amido) che aiuta l’escrezione di acido urico. Oltre a ciò anche diminuire i grassi ed il fruttosio (presente nei dolci, cachi, fichi, uva e banane) che ne favorisce la ritenzione.

E’ fortemente sconsigliato seguire delle diete fortemente ipocaloriche con rigida riduzione o esclusione di carboidrati oltre che seguire digiuni prolungati. Infine è molto importante essere correttamente idratati e diminuire il più possibile l’assunzione di alcol in particolare la birra. Tutti questi accorgimenti dipendono molto dal quadro clinico della persona, l’alimentazione che ne deriva deve essere quindi strettamente personalizzata. Per questo è importante che venga impostata da un medico o un biologo nutrizionista, evitando così errori grossolani nella gestione degli alimenti e delle quantità.

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